“Tre mesi di coma, poi la fine. Così se n’è andato Domenico Gabriele, Dodò, l’undicenne colpito il 25 giugno del 2009 nel corso dell’agguato al campo di calcetto ‘Margherita’ di Crotone. Il piccolo Domenico nulla aveva a che fare con la ‘ndrangheta e le sue faide, eppure è rimasto ucciso per un attentato scaturito da uno scontro tra cosche. Questa vicenda mostra la ferocia e la brutalità con cui la ‘ndrangheta, la più potente mafia del mondo, agisce. E dimostra, una volta di più, che le mafie non uccidono soltanto chi le ostacola. L’atroce storia di Dodò non deve essere dimenticata, anzi, deve servire da monito: per sconfiggere le organizzazioni e i sistemi criminali che hanno flagellato i nostri territori serve l’impegno di tutti. Non si può delegare la lotta solo a magistratura e forze dell’ordine, perché la legalità è un valore assoluto e ogni cittadino ha il dovere di difenderla. E’ una responsabilità che dobbiamo assumerci. Lo dobbiamo a tutte le vittime innocenti e a chi ha sacrificato la propria vita per combattere una guerra impari. Ai genitori di Domenico esprimo la mia più sincera solidarietà in questo giorno di memoria e di dolore che si rinnova”. (Sonia Alfano, 12 settembre 2012)
Oggi 17 ottobre 2013 è il compleanno di un ragazzo speciale e voglio farvelo conoscere.
Arrivo a Crotone in un caldo fine settembre.
È Giovanni Gabriele che monta lo striscione all’esterno della chiesa e saluta con l’aria amichevole di chi ti conosce da tempo, invece era solo capitato di sentirci per telefono e su facebook. Mi viene in mente quello che dice spesso Franco Lanzino, anche a lui strapparono con violenza la figlia: «Per chi perde il marito o la moglie c’è il termine vedovo o vedova, per chi perde i genitori usiamo dire orfano, ma a chi perde un figlio o una figlia neanche il vocabolario fa giustizia».
Dentro è pieno di bimbi e primi banchi di personalità delle istituzioni, non è quello che si direbbe un giorno di festa, ricordiamo l’evento tragico della morte di Domenico (Dodò) Gabriele dopo tre mesi di agonia.
Dodò, solo undici anni, un ragazzo che cresciuto nelle campagna intorno Crotone, all’ombra del campanile della chiesa, dimostra di essere il bravo ragazzo che tutti i genitori vorrebbero come figlio; bravissimo al catechismo, eccellente a scuola, affabile e amabile con tutti.
Dimostra la sua intelligenza anche quando trova a casa la lettera di Berlusconi, reagisce rispondendo e facendo notare con garbo che di quell’aiuto alle famiglie numerose di cui si vantava non sarebbe stato utile per la sua, essendo disoccupati i genitori non avevano potuto dargli dei fratellini e quindi la loro era una famiglia che non godeva degli incentivi descritti. Silvio non ha mai risposto a Dodò.
La sua passione per il calcio è condivisa con papà Giovanni. Tutti i giovedì partita al campetto, quasi una festa tra parenti e amici, ma il 25 giugno 2009 non è di festa e di divertimento. Le famiglie emergenti della ‘ndrangheta hanno il problema di dover far notare la propria spavalderia, incutere il terrore in tutti.
Nel campetto a giocare c’è solo solo gente innocente, forse qualche parente di qualcuno che si era permesso di intascare 250 € dello spaccio di marijuana, ma che importa che sia pieno di bambini? «C’è da fare una strage», la «terra trema dove passiamo noi». Ci saranno altri otto feriti in quel campo, ma il corpo di Domenico si trova nella traiettoria peggiore e inconsapevolmente salva altre vite perdendo la sua.
Spesso si dice che in queste tragedie ci si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato, ma quale sarebbe il posto giusto di un undicenne una sera di inizia estate, se non coi pantaloncini a tirare due calci a un pallone?
Faccio due chiacchiere con Giovanni e mi risponde sicuro e sincero.
Ho visto che Dodò era proprio bravo a scuola e al catechismo, da chi ha preso? Da Francesca o da te, Giovanni?
Giovanni: Dodò era molto più bravo dei genitori.
Un appuntamento che avevi fisso con Dodò era la partita a calcetto il giovedì. Quale era il suo ruolo preferito?
Giovanni: giocava da centrocampista, giocava bene, e per lui era un divertimento.
La ‘ndrangheta pensa di terrorizzarci, invece la sfidiamo continuando a vivere e a giocare. Il coraggio ci viene stando insieme. Chi vi è vicino? Lo Stato?
Giovanni: tutti ci sono vicini, lo Stato anche si è costituito parte civile.
C’è un grigio fatto di illegalità che se non è proprio collusione è il terreno più idoneo per la cultura mafiosa, cosa vogliamo dire a chi dice “che male c’è?” o “così fanno tutti”?
Giovanni: per combattere l’illegalità dobbiamo essere tutti uniti, ognuno di noi deve fare la propria parte, anche nel suo piccolo. Il male c’è, infatti pagano gli innocenti il male dei cosiddetti uomini d’onore, la brava gente non fa queste cose, lavora onestamente e manda avanti la famiglia con stenti e sacrifici e non va in cerca di soldi facili
Si sta parlando di amnistia e indulto, è improbabile che riguardi gli assassini di Dodò. Ma tu che ne pensi?
Giovanni: per quando riguarda l’indulto non sono favorevole, chi sbaglia deve pagare, e deve pagare con il carcere, nel caso di Dodò per tutta la vita. Mio figlio aveva solo undici anni e non avrà nessun premio per tornare in vita, dai suoi genitori e dai suoi affetti, gli hanno spezzato la vita e i suoi sogni e questo non va bene, nessuna amnistia e nessun indulto, Napolitano, mi dispiace, ma sta sbagliando tutto, che li premia pure questi delinquenti.
Non saprei dire se Giovanni ha torto o ragione, ma quando proponiamo misericordia per i carnefici da che parte stiamo? Ci siamo messi anche solo per un attimo dalla parte di Dodò prima di dire che lo spaccio delle sostanze stupefacenti deve essere depenalizzato?
“Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.”
[Jacopone da Todi, "Donna de Paradiso", vv.124-127 ]
@isainghirami
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